L’abito rosso femminile
Sul modo di vestire delle donne tempiesi, che tutti i viaggiatori erano concordi nel definire eleganti, il pittore Agostino Verani, che operò a Torino dal 1793 al 1819, riproduce un costume interamente rosso in orbace (furesi) “la tinta usata veniva estratta da un lichene detto “petra lana” o “alba tramuntana”., dalla gonna al giubboncino, camicia bianca e corsetto verde, con sul capo un fazzoletto bianco annodato in modo particolare detto lu cenciu.
Alberto Della Marmora dice che la tendenza delle donne tempiesi riguardante il colore della gonna era indirizzata verso il verde.
LU CENCIU (il copricapo)
Il copricapo di questo tipo di abbigliamento femminile di Tempio che veniva usato è il cosiddetto Cenciu, un particolare copricapo che si indossa in due modi così descritti, dal Casalis: “L’altra particolarità delle donne tempiesi….. è lu cenciu, che hanno imitato dalle isolane della Maddalena. Esse ordinano la capellatura in maniera gentile, però senza pettini e quindi copron la testa con un fazzoletto raddoppiato a triangolo, che dalla nuca volgesi e legasi sulla fronte formando con i lembi delle rosette”.
Anche Alberto La Marmora si sofferma sul Cenciu: “Sebbene l’uso di questo fazzoletto ne è variato in così breve tempo, il modo di portarlo che il disegno fatto nel 1822, quando ho ritratto la scena del Granimatogghju (disegno del Cominotti), non ha più nulla a che fare con quello del tutto nuovo che ho disegnato nel 1838”.
Del cenciu parla anche Tyndale “Il semplice e raffinato copricapo, su cenciu, è costituito da un fazzoletto di seta dai vari colori vivaci, legato a forma di triangolo con tre nodi, dei quali uno è fermato nella nuca e gli altri due sulla fronte. Somiglia, per certi versi ad una coccarda, ma sistemata in modo da evidenziare gli orli e la frangia in maniera civettuola, assai meglio di come usa la moda in altre parti d’Europa nelle quali si porta lo scialle come copri capo”.
Lu Cenciu, come già detto, veniva annodato in diversi modi su un supporto costituito da una Cuffia detta Scuffiottu.
LA CAMIJA (la camicia)
La camicia femminile, come quella maschile, è sempre bianca, il tessuto normalmente è lino, ma non manca il cotone. Generalmente si presenta molto ampia con una increspatura al collo, all’attaccatura delle maniche ed ai polsi. Il collo, nella maggior parte dei casi, consiste in una sottile striscia di tela finemente ricamata a mano, nel collo sono praticate due asole dentro le quali si fanno passare i gemelli d’oro o d’argento; anche ai polsini si possono avere dei piccoli ricami per abbellirla in particolari occasioni.
L’IMBUSTU (il corsetto)
A Tempio, come in tutto il settentrione dell’isola, veniva usato un busto rigido e/o semirigido senza maniche, di lunghezza molto corta che a malapena arrivava ai fianchi, e confezionato con tela o broccato di vari colori. Il Verani in una tavola lo dipinge di colore verde.
LU GJPPONI (giubbone)
Leonardo Gana dice che è un giacchettino di seta o di velluto, usato sino al 1700, moda decaduta col decadere dell’uso del busto, aderentissimo e fasciava il corpo della donna da pochi centimetri più sotto della vita sino al collo, si chiudeva davanti con bottoni o piccolissimi ganci; nell’un caso o nell’altro il numero dei ganci o dei bottoni arrivava talvolta sino a quaranta; rappresentava un capo importantissimo del corredo femminile e serviva con la sua perfezione e col suo valore ad accrescere la distinzione di chi lo indossava. Verso il 1800 invece il Gjpponi era di lana o di velluto rosso, era largo, aperto sul davanti e non abbottonato, le maniche aperte e bordate di azzurro; sotto al gjpponi le donne portavano un busto di broccato verde e oro con apertura a V ed allacciatura sul davanti con stringa a zig-zag. Lu ‘Gjpponi è stato sempre un capo dell’abbigliamento anche infantile, come attesta una antica cantilena raccolta dal Martelli.
LA FALDETTA (gonna)
La gonna indossata è sempre molto lunga ed anche molto ampia. La parte superiore è aperta per facilitane l’indossatura e viene chiusa con ganci o nastri. La gonna del costume rosso, molto più pesante delle altre, e fatta di panno rosso con pieghettine parallele a partire dalla cintura, piegate con tale cura che, anche quando si indossava, le pieghe non si scomponevano assolutamente, è arricchita lungo l’estremità finale da una fascia di tessuto molto pregiato di vari colori o di un singolo colore, ma accuratamente ricamata. F. De Rosa nel 1899 dice che la gonna ordinaria o giornaliera era d’albagio d’un rosso bruno, se di festa era di grana rossa, se di gala, come quella adoperata dalle signore, di velluto di seta o di broccato d’alto pregio. La gonna ordinaria veniva chiamata Suncurinu. Le signore, attorno alla vita, portavano una fascia, i cui capi, uniti in grazioso fiocco e ornati di frangia, pendevano posteriormente sulla gonna.
LA SPADDERA (fazzoletto da collo)
Era un fazzoletto di tela o di tulle che, piegato diagonalmente, pendeva dietro al collo e, scendendo dalle due spalle, veniva ad incrociarsi sul petto, fissando le cocche ai due lati della vita nella cintura.
Anche Nicola Tiole nel suo “Album dei costumi sardi riprodotti dal vero” raffigura in alcune tavole il costume femminile rosso di Tempio, ma ammette candidamente che alcune di queste rappresentazioni sono dell’amico A. Della Marmora, mentre in altre evidenzia sempre il costume femminile (sia rosso sia di colore marrone) con la doppia gonna, lu suncurinu.